Zia Sarina, sempre a bassa voce

di Federica Soprani

In certi posti i monumenti non sono fatti di marmo, o legno, o metallo, ma di carne e ossa, di sorrisi e occhi vispi che ti scrutano per la prima volta come se ti conoscessero da sempre.

È così che Rosaria Campo, conosciuta da tutti come Zia Sarina, ci accoglie sotto la veranda del bar Arcobaleno, che si affaccia sull’attracco degli aliscafi a Levanzo. Ci guarda dritto negli occhi, come se ci stesse aspettando, e noi davvero non possiamo fare a meno di sorridere, e salutarla, e chiederci dove abbiamo già visto questa piccola donna con i capelli corti e gli occhiali grandi.

In realtà è difficile che qualcuno che non ha mai messo piede a Levanzo l'abbia conosciuta. Sarina vive qui, da 91 anni, la prima di sette figli. La mamma era di Marettimo, il papà di Levanzo, e lei è cresciuta sull'isola con i genitori, i fratelli e la nonna.

"Vedevo gli aerei passare, le bombe cadere, ma non lo sapevo chi fosse a bombardarci, e perché."

Dormivano tutti nello stesso letto, stando attenti a non cadere" ricorda Sarina, e nel frattempo noi ci siamo già seduti al suo tavolo, ingombro di libri, senza ricordare che lei ci abbia chiesto di farlo. Sbirciamo i titoli di quei volumi, che raccontano la storia del territorio di Levanzo, ma anche delle Egadi e della Sicilia tutta. Sarina ci dice che le è sempre piaciuto leggere, fin da ragazzina, e le piaceva anche andare a scuola. Ha fatto le elementari un po' qui, un po' a Favignana, e le sarebbe piaciuto tanto fare anche le medie, a Trapani, ma è iniziata la Guerra, anche se sull'isola nessuno se ne era accorto sulle prime.

"Vedevo gli aerei passare, le bombe cadere, ma non lo sapevo chi fosse a bombardarci, e perché."

Le chiediamo che cos'altro le piacesse fare quando era giovane, oltre a leggere, e lei ci dice che era timida, molto timida, e non le andava spesso di accompagnarsi alle altre ragazze della sua età. Le piaceva chiudersi in camera, e aprire l'armadio in cui era custodito un vecchio grammofono. Lo accendeva, aspettava che la musica riempisse la stanza, e poi si metteva a cantare, sempre a bassa voce.

Zia Sarina continua a parlare, della Guerra poco, lei aveva 12 anni e cercava di non pensarci. Parla di Levanzo, dell'altopiano ammantato di campi e coltivazioni, degli animali inerpicati sul terreno scosceso, delle barche che andavano e venivano da Cala Dogana, non solo quelle dei pescatori, ma anche dei commercianti.

"E poi che è successo?" ci viene da chiedere, e zia Sarina, di punto in bianco, si mette a raccontarci una nuova storia, di un giovane militare d'istanza sull'isola, quando lei aveva 17 anni. Lo vedeva, ogni tanto, aggirarsi un po'spaesato, ma lei era timida, non si soffermava mai troppo a guardare i giovanotti. Un giorno, mentre andava a trovare i nonni e la zia, lo incontrò. Lei era sola, e lui le si è fatto innanzi chiedendole: "Signorina, cosa posso sperare?"

Lei gli aveva risposto, con un tono che non ammetteva repliche: "Sperando si muore."

Le piaceva chiudersi in camera, e aprire l'armadio in cui era custodito un vecchio grammofono. Lo accendeva, aspettava che la musica riempisse la stanza, e poi si metteva a cantare, sempre a bassa voce.

Perché lei amava solo il suo papà e i suoi fratelli, non voleva altri uomini nella sua vita.

Dopo la Guerra lui se ne andò, fece ritorno in Puglia. Ma dopo poco tempo eccolo riapparire sull'isola, più determinato che mai a ottenere da Sarina almeno una speranza.

Il padre di Sarina non voleva saperne di lasciarla partire, e tantomeno di farla sposare così giovane, ma lui era davvero cocciuto. Pur di restare a corteggiare la sua bella, si stabilì a Levanzo, lavorando come barbiere per poche lire. Mortificandosi pur di starle accanto.

Alla fine Sarina non poté che cedere a tanta insistenza e devozione, e lo sposò.

Suo marito si diede tanto da fare facendo il commerciante tra Levanzo e Marettimo, per mantenere la famiglia, per assicurare a tutti i loro figli un'istruzione. È stato un matrimonio felice? Qui Sarina si rattrista un po', i suoi occhi vagano lontano, inseguendo immagini che solo lei può scorgere.

Ci parla di una bimba morta piccola di polmonite, dei suoi figli mandati in collegio, della solitudine di infiniti giorni, infinite notti.

Eppure a 91 anni lei è ancora qui, e ha ancora voglia di sorridere. Dopo 45 anni di matrimonio è rimasta vedova, ma a Levanzo tutti la chiamano 'zia' e lei chiama tutti 'figlio mio', 'figlia mia'. Quando le chiediamo se possiamo abbracciarla, sentiamo che nel suo grande cuore ha già riservato un posto anche per noi, e questa consapevolezza ci fa sentire un po'più felici, un po'più tristi, perché dobbiamo salutare questa piccola grande donna, questo monumento vivente di Levanzo, che ci guarda come se ci conoscesse da sempre, e ci parla dolcemente, sempre a bassa voce.

 

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