Salvatore Spataro: l’ultimo rais sono stato io

L'altro rais di Favignana

di Rossella Canadè

È stato uno degli ultimi a salutarlo, steso sul letto di morte. C’era l’intera isola, a dare l’addio a Gioacchino Cataldo, l’ultimo dei rais di Favignana. Re indiscusso e acclamato delle tonnare. 

Salvatore Spataro era lì, di fronte a lui, come davanti ad uno specchio. 
Legati per tutta la vita dalla stessa passione per la pesca dei tonni, spesso a sudare e inghiottire sale sulle stesse barche. Divisi da caratteri opposti, ciarliero e mondano Gioacchino, fiero del fisico da Polifemo e giocoliere del sorriso ammaliatore, schivo e ruvido Salvatore, timido, allergico alle ribalte, amaro come la terra dell’isola farfalla. 

“Sono antipatico, lo so. È la mia natura”

Indole da marinaio puro, Salvatore, “Sono antipatico, lo so. È la mia natura”. Per questo, racconta, tutti hanno accettato a capo chino e brindisi l’incoronazione di Gioacchino a ultimo rais, “anche se la realtà è un’altra”. Ha smesso da anni, però, Salvatore, di voler agguantare un titolo che il destino gli ha tolto, senza appello. Corteggiato dai pescatori per la sua perizia con le reti, erede del rito millenario raccontato da Omero e praticato da romani, arabi e spagnoli, ma anche per il suo pugno di ferro “con chi faceva i capricci”, è stato ignorato dalle cronache favignanesi, in cui il folklore ha ammorbidito e sviato la realtà. 

Erede del rito millenario raccontato da Omero e praticato da romani, arabi e spagnoli

Costruiva il filato per le reti dalle noci di cocco, da bambino, “e finito le elementari avevo già capito tutto”. La passione per i tonni restava lì, nascosta fra le pieghe dei suoi silenzi, finché quando aveva 36 anni, lo andarono a cercare, nel bar che gestiva a Lido Burrone, e gli chiesero di andare in mare. 
Nino Castiglione, l’imprenditore trapanese che non ha mai smesso di sognare di riaprire la tonnara, aveva saputo delle sue mani, dei suoi occhi fatti per il mare. 
“Ricordo quando il primo giorno il capoguardia, che si chiamava Angelo Turricciano, mi chiese: “Rais, cosa iniziamo a fare?” Mi commossi, fu una manifestazione di fiducia che non mi aspettavo”. Passò anni a Bonagia, vicino a Trapani, dai Castiglione, scrutando sempre con nostalgia i lembi di Favignana, dove regnava   Gioacchino. Tornò per aiutarlo a preparare la camera della morte per i tonni, in quel 2004 in cui le reti mancavano. “Siamo stati come fratelli per anni, dividevamo tutto, fatica, pane, pesce, dormivamo in mare. Ma poi ci siamo allontanati, perché lui è diventato geloso. Io ero più bravo, lui più famoso”. 

"Io ero più bravo, lui più famoso"

Una vita passata a piume basse, lontano dai riflettori. “Non è stata mancanza di coraggio – dice oggi, a 70 anni, con giornate riempite da lunghe camminate, balli serali e partite a carte con gli amici – è la mia natura. Bado al sodo, alla verità. E la verità è che l’ultimo rais sono stato io, tornato in mare quando Gioacchino si era già ritirato”. Ora che Gioacchino non c’è più, si può dirlo, senza il pudore di rubargli qualcosa.

 

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