Pane, amore e malocchio

I curaddari trapanesi

di Entoni Calamunci

Un piatto colmo d’acqua e qualche goccia d’olio. Questi sono gli strumenti necessari e utili per comprendere se si è afflitti dal malocchio. Una realtà che caratterizza, ancora oggi, alcune popolazioni italiche, desume che per scacciare i disturbi legati alla salute (e non solo) bisogna indossare speciali amuleti scaramantici.

La fascinazione comporta uno stato di inibizione e di dominazione

Quella del malocchio è una tradizione antichissima, retaggio di quel substrato contadino tipico del meridione d’Italia, rientrante in quel termine definito fascinazione. Molti sono stati gli accademici, come Ernesto De Martino, che si sono particolarmente interessati a quella branca antropologica definita demonologia. La demonologia studia tutte quelle tradizioni oscure ed esoteriche tipiche del mondo agricolo, ovvero lo strato più povero della popolazione. La fascinazione comporta uno stato di inibizione e di dominazione, ed impedisce allo sventurato di agire liberamente.                 

Il male viene lanciato tramite gli occhi in maniera più o meno involontaria                        

Quando l’affascino, inteso come sventura, viene lanciato da un essere umano, prende il nome di malocchio che può tramutarsi, tramite specifici rituali, in fattura o fattura a morte. Il malocchio è strettamente connesso all’invidia e a quella negatività legata alla scarsità di beni necessari per far fronte a probabili eventi nefasti. Come suggerisce la parola stessa, il male viene lanciato tramite gli occhi in maniera più o meno involontaria. Dietro ad un falso complimento o ad un augurio che nasconde invece ben altri sentimenti, può celarsi la malasorte o la sventura. Questo è uno dei motivi per cui ai bambini, sin dalla più tenera età, viene impartita quella regola morale che consiste nel non suscitare l’invidia altrui. Gli infanti crescono a pane, amore e malocchio: in un mondo fatto di credenze e riti che li obbligherà, in un certo senso,  ad assumere il carattere magico, insieme alla religiosità e al lutto, come fattore intrinseco del proprio vissuto. 

Nella zona del trapanese il corallo rosso è sempre stato utilizzato come amuleto per allontanare la jettatura. Bracciali e collane, creati adoperando questo speciale materiale, venivano fatti indossare, sin dalla nascita, come difesa contro ogni male. Convinzione diffusa era che il tipico colore rosso di questo corallo venisse assimilato al sangue versato da Cristo sul monte Golgota. Particolari amuleti, tutt’ora realizzati dalle mani esperte dei curaddari trapanesi, erano donati come buon auspicio per favorire la fecondità della coppia. Raccolto nel mare antistante Sciacca e Trapani, il corallo trova un forte legame con la religiosità, tale da essere stato spesso rappresentato nell’arte sacra come elemento decorativo. Di particolare interesse, in questo caso, le opere rinascimentali di Piero della Francesca e di Cosmè Tura. Molte furono quelle famiglie nobiliari che vollero fare rientrare nelle proprie collezioni questo oggetto scaramantico. A Modena, presso la Galleria Estense, contenuta all’interno del Palazzo dei Musei, è conservato un complesso Presepio realizzato dai curaddari trapanesi, risalente al  XVIII secolo.  

(immagini dalla Rete)

 

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