“Pomeriggio sono qua”

Una storia d'amore e di cappelli.

di Ramona Aloia

La vedevo passare tutti i giorni con la schiena china, appesantita dai sacchetti della spesa. Io stavo seduto sul ciglio del marciapiede, col mio solito baldacchino di fortuna: una piccola seggiola e un attaccapanni dove appendevo i miei cappelli. In realtà, non era un vero e proprio attaccapanni, ma un palo di ferro con delle sporgenze che ricordavano i rami di un albero.
Lo trovai abbandonato accanto a un cassonetto dell'immondizia e subito pensai che sarebbe stato perfetto per i miei cappelli.

Una volta si fermò a guardarli.
Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Aveva i soliti sacchetti della spesa ingombranti, l'aria stanca, i capelli le cadevano scombinati sul viso, ma il suo sorriso, quel sorriso, giuro, sembrava aver superato numerosi inverni senza essere mai sfiorito. 

“Quanto costa quello?” Mi chiese indicandomelo con la testa.
Era uno di quelli in paglia con un nastro rosa attorno. Avevo impiegato due giorni per farlo.
Io non risposi. Non riuscii a dire nulla. Sono sicuro che le sembrai stupido, o sordo, o forse semplicemente innamorato.

Lei andò via sorridendomi, aveva le guance leggermente arrossate. Decisi che non appena l'avrei rivista, mi sarei fatto coraggio e le avrei parlato. Invece i giorni passavano e della donna col sorriso fiorito non c'era più traccia. Tutte le mattine portavo i miei cappelli, li appendevo e aspettavo. Ma lei non arrivava mai.

Mi decisi a chiedere in giro. Andai dal panettiere, dal macellaio, al supermercato. Niente. Sembrava sparita nel nulla.

Cominciai a credere di essere impazzito, di averla soltanto immaginata, quando un giorno finalmente la rividi. Questa volta non trascinava i soliti sacchetti della spesa, ma appariva ugualmente molto affaticata. Si reggeva al braccio di una giovane donna, pensai che potesse essere sua figlia. I capelli che teneva sempre legati in uno chignon disordinato non c'erano più. Un foulard di seta blu le ricopriva la testa.

Un turbinio di emozioni si aggrovigliarono nella mia mente, per un attimo sentii quasi cedere le gambe per lo spavento.

Mi passarono accanto, lei si voltò a guardarmi. Non riuscii a fare altro che prendere il cappello di paglia col nastro rosa e porgerglielo. “Prendilo.” La esortai con la mano. “È un regalo.”

“Grazie” mi disse sorridendo debolmente. Lo indossò subito.

Trovai un pennarello sul cruscotto della macchina. Lo presi e scrissi su un pezzo della mia seggiola: “Pomeriggio sono qua”.

Inutile dire quanto fosse bella. Trascorsi i giorni e le notti a fare cappelli pensando al suo viso. Ogni qualvolta si avvicinava io le regalavo un cappello e lei mi regalava un sorriso. Poi non la vidi più di nuovo per molti giorni. Pensai di poter morire all'idea di non poterla più rivedere, all'idea di non averle detto quanto l'amassi.

Decisi che non avrei fatto più cappelli. Quella sarebbe stata l'ultima mattina, quando invece me la ritrovai di fronte. Indossava uno dei miei cappelli. Lo sollevò leggermente mostrandomi i capelli che stavano ricrescendo.

“Ti amo” le dissi senza nemmeno pensarci. E subito mi tappai la bocca con le mani. Lei sorrise imbarazzata abbassando leggermente la testa. Poi allungò una mano verso di me. Io l'afferrai alzandomi dalla mia seggiola. Ci incamminammo verso il viale alberato tenendoci per mano, come se quel gesto fosse stata la cosa più naturale del mondo.

“I cappelli!” esclamai preoccupato ricordandomi di averli lasciati incustoditi. Tornai indietro e li riposi dentro il bagagliaio della macchina. Non potevo andarmene così, i miei clienti si sarebbero chiesti che fine avessi fatto.

Trovai un pennarello sul cruscotto della macchina. Lo presi e scrissi su un pezzo della mia seggiola: “Pomeriggio sono qua”.

Lo appoggiai al palo assicurandomi che fosse abbastanza visibile. Poi mi voltai e la vidi aspettarmi sul ciglio della strada mentre sventolava in aria il mio cappello. Le corsi incontro pentito per averla lasciata sola anche se solo per pochissimi minuti.

Avevo ancora il fiatone quando mi ricordai il suo nome.
“Maria!” esclamai con gli occhi rigonfi di emozione, mentre lei mi asciugava le lacrime con un fazzoletto.

Maria era mia moglie e ogni mattina passava per venirmi a trovare nonostante la sua malattia, nonostante la mia memoria. Ogni notte mi addormentavo con il suo nome sulle labbra e ogni mattina puntualmente lo dimenticavo. Ma l'amore no, lui non dimentica.

Semplicemente, aspettava.

 

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